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IGLESIENTE 240 km: Carbonia – Portoscuso – Buggerru – Portu Maga – Sant’Antonio di Santadi – Arbus – Fluminimaggiore – Iglesias – Terraseo – Carbonia

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Un’immersione profonda nella Sardegna meno nota e mondana, ma forse per questo ancora più entusiasmante,  aspra e selvaggia com’è. Le irraggiungibili coste, sferzate da un implacabile maestrale, e le vestigia delle vecchie miniere, rimaste come cicatrici profonde di un laborioso passato, si alternano e caratterizzano questo tour, che comincia proprio a Carbonia, centro attorno a cui si svilupparono – e per qualche tempo prosperarono – le attività minerarie. Si raggiunge Portoscuso, attorniato da industrie decadenti tanto nelle strutture quanto negli affari, e si fa una visitina di prammatica al porticciolo prima di proseguire sulle strade più vicine alla costa, passando anche da Gonnesa. I segni del maestrale che arriva impetuoso dal mare non tardano a manifestarsi, basta guardare i pochi alberi lungo la strada con il tronco e la chioma incredibilmente ricurvi quasi fino a terra! Ci si immette dunque sulla SP. 83 per risalire lungo tutto il sud-est dell’isola. Il primo tratto è particolarmente bello ma anche impegnativo; le coste rocciose e inespugnabili sono un immenso monumento, a tratti impreziosito da grandi scogli sferzati da vento e onde; ma se la giornata è soleggiata e il vento é calmo, il mare si tinge di un blu profondo e abbacinante.

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Costa Iglesiente

La strada, però, richiede molta attenzione, perché è poco larga e  – manco a dirlo – si snoda in una miriade di curve strettissime che seguono il profilo frastagliato della costa. Per fortuna ci sono frequenti piazzole che si affacciano sul mare, dove ci si ferma per le immancabili foto. Superata Nebida, abbarbicata su un costone roccioso, si arriva Masua, uno dei punti più caratteristici dell’ Iglesiente, sede di un centro minerario abbandonato ma soprattutto del singolarissimo Porto Flavia, un vero e proprio boccaporto scavato nella roccia in collegamento con la miniera, da cui venivano caricati sui battelli le materie prime estratte. Esattamente di fronte, il più alto faraglione d’Europa, malamente detto Pan di Zucchero.

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Pan di Zucchero al largo di Porto Flavia

Ripresa la SP. 33, ci si allontana dalla costa con qualche ruvido tornante in salita, e si entra in una bella vallata dove si può accelerare un po. Proseguendo ancora si incrocia la stradina che porta a Cala Domestica, da visitare assolutamente.

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Cala Domestica e Cala Lunga

Due calette profondamente incastonate nella roccia alta e ispida e un mare di consueta bellezza, talmente limpido e brillante che non vedi l’ora di farci un tuffo che ti ristori dalla stanchezza.

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Sullo spuntone più esterno, una torre di guardia è li forse dall’eternità, e sorveglia immota tutta la costa iglesiente, di fronte a un mare di un blu cosi incredibilmente  bello che dovrebbero inventargli un nome apposta (che so, blu iglesiente, o blu perfetto anche).

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Torre di Cala Domestica

Poi si riprende la strada, che risale sulla cresta rocciosa allontanandosi un po dal mare, fino a Buggerru, porticciolo ignoto e nascosto in un angoletto tra le falesie calcaree. Si lascia il porto e dopo si corre spediti sulla fettuccia lunga e dritta che arriva a Portixeddu, posto ideale per una sosta soprattutto se ci si siede a gustare le prelibatezze del ristorante di tzia Maria. Poi si torna indietro e si devia verso l’interno fino ad incrociare la SS. 126, che al ritorno porterà ad Iglesias. Adesso, però, si sale con decisione sulle alture iglesienti per circa 20 chilometri, e qui gli smanettoni avranno pane per i loro denti: una interminabile serie di curve a esse si snodano una dietro l’altra fino ad ubriacarsi. A quota 700 mt. ci si calma, perché le curve si diradano, e gli oliveti e i pascoli inducono alla tranquillità. All’incrocio con la SP. 66, si cambia direzione e ci si avventura nuovamente verso il mare, discendendo tornanti esposti al vento che, dopo Ingurtosu, antico villaggio minerario, sfociano in una strada sterrata bella larga. La sabbia comincia a diventare l’elemento predominante (anche sulla strada!) ed è il preludio della incredibile spiaggia di Piscinas, le cui enormi dune sabbiose sono una vera leggenda: un pezzo di Kalahari trasferito in Sardegna.

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Piscinas

Ma la giostra non è finita; in estate, dopo il bagno di prammatica, (e con una moto enduro) si riprende imperterriti la marcia sulla SP.4 e si affronta con  un sorriso largo fino alle orecchie il guado sul Rio Piscinas e poi un’altro meno impegnativo, fino a quando, dopo un po, la strada si riveste di asfalto.

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Di nuovo un bel percorso lungo la costa fino a Portu Maga e poi, dopo Marina di Gutturru, all’incrocio, per i più sarebbe ora di cambiare direzione e tornare verso sud. Ma chi non è dei più come potrebbe non allungarsi ancora fino alla evocativa Torre dei Corsari? E poi visto che ci siamo, ancora un po di kilometri si arriva e ai confini dell’oristanese, appena fuori dall’abitato di Sant’Antonio di Santadi, togliendosi la curiosità di dare un’occhiata veloce allo stagno di Oristano.

Non fatevi tentare dal proseguire sulla SP. 65 per tornare verso sud. Meglio ripercorre la SP.4 fino al bivio precedente, e quindi risalire verso Montevecchio. Solita stradina interna stretta e attorcigliata, ma quello che si impone all’occhio è la formazione montuosa che si staglia sul lato sinistro, dominata da un’unica vetta il Monte Arcuentu, un vero e proprio Tacco d’Ogliastra che chissà come è finito alla deriva quaggiù a sud-est. E’ un vero Re, sta fermo li a imperare incontrastato sulla valle e vi osserva attentamente mentre attraversate il suo territorio; e come ogni re ha i suoi cortigiani a fianco, una catena di cime aguzze e storte come vecchi livorosi che confabulano tra loro.

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Monte Arcuentu

Dai boschi di Montevecchio si sale proseguendo sulla SP.4 girando intorno a Punta S’Accorradroxiu verso Arbus. Ad un certo punto avrete sulla sinistra la visuale aperta su tutto il Campidano del Morreale. Se la giornata è tersa lo spettacolo è impressionante, vi sembrerà di abbracciare con lo sguardo mezza Sardegna meridionale, racchiusa tra i monti dell’Iglesiente da un lato e le alture della Marmilla e della Trexenta dall’altro, con incluso un molesto parco eolico; peccato che non ci sia posto per fermarsi. Dopo Arbus si prende la SS.126 e si ritorna sui propri passi, ripercorrendo l’altopiano che porta a Gennamari, e poi giù a precipizio per i curvoni che scendono verso Fluminimaggiore, da guidare in modo altrettanto entusiasmante della salita. Dopo Flumini ci si infila nuovamente nelle gole ubertose dei fondovalle iglesienti. Si continua, per un’infinità di tempo e di curve, durante cui si ripensa la propria esistenza e si spera che ci sia una via d’uscita dalla foresta (ma non c’è alternativa, per lo meno su asfalto), osservando di tanto in tanto apparire le vestigia in rovina dei vecchi impianti minerari nascosti tra i boschi. Infine si esce dai cunicoli a riveder le stelle sotto il cielo di Iglesias. Ma non finisce qui, c’è ne ancora per chi non s’accontenta. Trasferendosi velocemente sulla SP.85 si prosegue inerpicandosi su splendidi tornanti; in cima al Monte San Miai lo spettacolo è fantastico: Iglesias, Carbonia e tutta la pianura sulcitana sono giù ai vostri occhi e a quelli di inconsapevoli bovini al pascolo brado, perlatro privi di qualsivoglia cognizione di comportamento stradale… Si valica e si scende, dunque, lasciando Terraseo e le alture. A questo punto Carbonia è vicina, e ripensandoci vi renderete conto di aver chiuso uno dei più avvincenti e variegati tour sardi.

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